Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 31 marzo 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Meglio Seneca che Sirchia

di Piero Welby (Il Calibano)

Per straordinarie pene mi creò

un Dio d'odio, che gode del dolore?

Goethe, Faust.

Ho letto con interesse l’articolo del Ministro della Salute, pubblicato da La Stampa del 30/03/2005, e non ho potuto fare a meno di ricordare quel “desinit in piscem” che Orazio usava per qualificare le poesie che cominciano bene e, come le mitologiche sirene, finiscono in una deludente coda di pesce.

Il Ministro, prendendo spunto dal caso Terri, compie un breve escursus sulla morte clinica, sull’eutanasia, sull’accanimento terapeutico, sul testamento biologico, sullo stato vegetativo permanente, sui rischi di uno slippery slope che conduca all’eliminazione di ”disabili gravi, gli anziani indementiti o quanti altri a giudizio della società sono defini­ti non più recuperabili”, sulla necessità di assistere in modo più efficiente i familiari dei malati gravi “Dob­biamo difenderci da queste tenta­zioni ancorandoci ai forti valori umani del nostro popolo che anco­ra esistono e che rifiutano di consi­derare «atto d'amore» l'eliminazio­ne delle persone fragili” e, da un uomo di scienza, come lui è, non poteva mancare un richiamo alla speranza rappresentata da una ricerca scientifica in rapida e imprevedibile evoluzione.

Non voglio dire che il suo articolo sia paternalistico, ma lo è! Non voglio dire che la sua speranza nella ricerca scientifica sia strumentale, ma lo è! Non voglio dire che il quadro offerto sull’eutanasia e il testamento biologico sia irreale, ma lo è! Non voglio dire che il suo appello per un sostegno più efficiente ai familiari dei disabili gravi sia ipocrita, ma lo è!

Insomma, è paternalistico perché il diritto all'autodeterminazione nei confronti del trattamento medico è, in Italia, un diritto riconosciuto dall'art. 32, secondo comma, della Costituzione: “Nessuno può essere ob­bligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto per la persona umana”.

È strumentale perché la nota avversione del Ministro per la ricerca sulle staminali embrionali si scontra con l’opinione del 90% dei medici che è favorevole all'uso di embrioni per curare malattie, come risulta da una ricerca realizzata dal Censis, insieme al Forum Biomedico.

I suoi dubbi sull’eutanasia e il testamento biologico sono irreali perché il Ministro non conosce o ha dimenticato il disegno di legge N. 2758, comunicato alla presidenza il 13 febbraio 2004 -Norme per la depenalizzazione dell’eutanasia- che recita: “la persona, al momento della richiesta, sia pienamente capace di intendere e di volere. 2. Le condizioni di cui al comma 1 devono essere attestate da una commissione composta da tre medici, di cui uno specialista della patologia, uno indicato dal paziente e uno designato dall’ordine dei medici tra coloro che non hanno sollevato obiezione di coscienza”.

E non conosce o ha dimenticato il disegno di legge N. 2943 d’iniziativa del senatore Tomassini comunicato alla presidenza il 4 maggio 2004 -Norme in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento.

E non conosce o non è al corrente che l’assistenza domiciliare ai disabili gravi non comprende i giorni festivi.

E se conosce questi fatti e non li ha dimenticati, evidentemente ha dimenticato che lui è il Ministro di tutti gli italiani, anche di quelli che non hanno la sua stessa visione del mondo.

Signor Ministro, io ho letto con interesse il suo articolo; lei, la prego, legga con lo stesso interesse quanto segue: “Non rinuncerò alla vecchiezza se essa mi lascerà intero a me stesso, dico intero nella parte migliore; ma se comin­cerà a scuotere la mia mente, a schiantarne delle parti, se mi lascerà non la vera vita, ma solo una forza animatrice di vitalità organica, senz' altro me ne uscirò da quell'edificio in­teriormente viziato e destinato a rovinare. Non cercherò colla morte di fuggire una malattia purché si tratti di una malattia da cui possa guarire e il mio intelletto non venga deteriorato. Non volgerò le mani contro me stesso per fug­gire il dolore: in questo caso darsi la morte significa essere vinti. Ma quando saprò di dover soffrire condannato a un dolore senza fine, allora uscirò dalla vita non per fuggire il dolore, ma perché esso sarà d'impedimento a tutte quelle cose che costituiscono la ragione di vivere. (Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio cit., vol. I, pp. 335­ - 336).